Testo ed immagini tratti da:
"Gradara nella storia, nell'arte e nel turismo."
edito da
PAMAGRAPHICOLOR Autore: Delio Bischi
Allorché il castello assumeva sempre più funzione di rappresentanza e di residenza, i Signori pensarono di ingentilirne l'aspetto concedendosi a comportamenti non proprio militareschi. E non potevano le grandi pareti delle stanze del Castello restare estranee a quello che allora era di gran moda: l'affresco.
Il primo periodo è solo documentato da una poesia umanistica magistralmente commentata nel 1970 da Augusto Campana. Ad un certo punto di questa poesia, anonima, In laudem Ora d'arie scritta verso i primi decenni del 1400, si accenna a pitture che affrescavano le pareti di ben tre diversi ambienti: "Adorna il vestibolo Scipione... Nell'interno del palazzo si vedono le fiam meggianti battaglie dei Troiani... combattono con le schiere dei Laurenti: da un lato Enea trattie ne Turno superbo per l'uccisione di Pallante; dall'altro, dopo una porta più interna una fiera turba di quei capitani che meritarono eterna fama nei secoli". Nel vestibolo si osservano ancora tracce di graffiti.
Interessante è l'accenno - uno dei primi - a Scipione, entrato poi nell'araldica dei Malatesta. Anni dopo Sigismondo-Pandolfo nel Tempio Malatestiano di Rimini farà rappresentare il trionfo di Scipione l'Africano sul "Sarcofago degli Antenati". L'accenno alle effigie di famosi capitani, e probabilmente con sotto delle iscrizioni, inserisce il castello in quella che fu una decorazione pittorica comune a molti altri castelli e palazzi nel '300 e '400.
Siamo a conoscenza di una iscrizione che illustrava un'immagine di Ettore che esisteva nell'anticamera del Guastafamiglia: "In guardacamera Magnifici D. Domini Malatesta de Malatestis..."
Natorum Priami fuit hic sol unicus, alta spes Teucrum Danaumque metus, fortissimus Hector, Pur ignorando l'esistenza di questo interessantissimo carme, alcuni autori sono concordi nel l'attribuire alla grande sensibilità di Malatesta dei Sonetti, che ebbe una lunga e prediletta Signoria su questo castello (1385-1429) dove mori, il merito di aver fatto affrescare le stanze. Lambertino Carnevali nel 1928 scrive che "Soggiornarono in Gradara artisti famosi quali Genti le da Fabriano (1417), Apollonio dal Calino orafo, Jacopo da Imola (1419) miniatore ed altri". Vincenzo Baldieri, insigne studioso di Rocche e castelli, dopo aver nominato Gentile da Fabriano e Jacopo da Imola, scrive che Durante tale periodo alcune sale della Rocca conobbero il fascino di deliziosi affreschi...lì Michelini Tocci, recentemente, accenna a Mariotto di N'ardo ed al suo allievo Lorenzo Ghiberti, allora interessato alla pittura, e la cui presenza lasciò tracce a Pesaro.
Al secondo periodo appartengono quelle descritte nel 1744 dall'Olivieri (nato nel 1708): "Fu Malatesta non solamente uomo di senno e valore, ma letterato ancora, come dimostrano le poesie che di lui abbiamo, e Signore di gusto; ond'egli credo io fosse quello, che dipinger fece le camere di codesta Rocca, le quali pitture mi ricordo, quando era io ragazzo, aver vedute, e mi restano ancora in mente i tanti puttini, che tenevano in mano gran targhe con la scacchiera, arma dei Malatesta, simili appunti a quelli che vidi negli anni scorsi d'URAR ancora nelle rovine della Rocca di Montelevecchie.
La menzione di queste pitture mi suggerisce di ricordare altra che si nomina ne' rogiti di Bar TOlo degli Albertucci, esistenti in questo pubblico archivio, 6 febbraio 1465. Actum in Arce Gradarie in Sala de le battaglie".
Questo importante ricordo oltre a confermare l'esattezza di quanto descritto dalla poesia sopra citata - Sala de le battaglie - ci fa sapere che già all'epoca dell'Olivieri non esisteva più l'altra pittura, quella del primo ciclo, che aveva per soggetto battaglie ma, lui ragazzo, esisteva ancora quella dei tanti puttini che tenevano in mano gran targhe con la scacchiera.
È una sicura testimonianza che quando il Mosca-Barzi prese possesso nel 1773 del castello non esistevano già più gli affreschi dei puttini che l'Olivieri aveva ben osservato quando era ragazzo... Gli enfiteuti del cinquantennio precedente al Mosca, lungi dal restaurare, avevano distrutto anche quei pochi affreschi che rimanevano... E questi puttini riteniamo non faces s'ero parte del primo, ma del periodo posteriore, quello rinascimentale, al tempo del raffinato Sigismondo Pandolfo, al tempo - per intenderci - in cui anche il suo grande rivale Federico da Montefeltro farà altrettanto nel fronte dei camini che ancora si ammirano. nel palazzo Ducale di Urbino. Anche di questo periodo non riman3- testimonianza.
Tracce di sinopia e di colore affiorano in diverse pareti... Due sicuri documenti ci parlano di battaglie ed è notorio che l'attuale Sala del Consiglio prima veniva chiamata Sala delle Battaglie; ora le pareti sono ricoperte da iuta. Non è inutile ricordare che proprio all'antivigilia del Natale del 1954 in Borgo 5. Sepolcro fu scoperto, per caso, sotto un vecchio intonaco della Chiesa di 5. Agostino, uno dei più splendidi visi affrescati da Piero della Francesca, e non solo da lui...
Terzo periodo. Al visitatore che giunge alla Sala del Consiglio, (già delle Battaglie) del castello di Gradara, si presenta un grande magnifico affresco che occupa tutta una parete. L'affresco non è nato sul posto, ma è stato strappato dalla parete del loggiato sforzesco, a pochi metri dalla sede attuale. A parte il soggetto, lo stile della magistrale esecuzione ci riporta ai sarcofagi romani ed alle decorazioni che impreziosiscono l'Arco di Costantino.
Se controversa è l'individuazione del soggetto raffigurato, ancora di più ne sarà l'attribuzione. Della stessa mano ed epoca ne esistono altri. Chi è l'artista ed in quale epoca sono stati eseguiti gli affreschi del terzo periodo? Tutti concordano che questo ciclo fu fatto eseguire da Giovanni Sforza verso il 1494 in onore della moglie Lucrezia, Borgia. Bernard Berenson, Luigi Serra, Giuseppe Marchini seguiti da Annamaria Petrioli-Tofani, fanno il nome di Girolamo Genga.
Paolo Venturoli nel 1969 e Michelini Tocci nel 1974 puntano sul nome di Amico Aspertini (1474-1552) pittore bolognese che "Giovanni Sforza aveva probabilmente conosciuto a Roma all'epoca delle sue nozze con Lucrezia Borgia e che era venuto la prima volta a Pesaro nel 1494, al seguito della sposa. Questo artista bizzarro inquieto e polemi9o, allievo del Francia e del Costa, fu più volte a Gradara, prima e dopo l'occupazione del Valentino. Andava e veniva protetto dal principe e sempre affascinato dai grandi spazi bianchi delle pareti.
Del suo lavoro nella Rocca, che dovette essere cospicuo per estensione e per impegno, resta no alcuni importanti frammenti che ci fanno rimpiangere il resto dell'opera purtroppo perduto". Diremo che quest'ultima è l'attribuzione più seguita.
Oltre alla battaglia, nella loggia sforzesca, dopo una alquanto deperita figura di guerriero a mezzo busto, ci troviamo innanzi ad un ben conservato affresco monocromo sopra una porta. La scena raffigura Curzio Dentato che per placare l'ira degli Dei si getta con il cavallo in una voragine che si era aperta innanzi al Foro romano. Fuori campo vi è il nome del restauratore, Guido Fiorucci., 1923. Prima di entrare in un atrio, che per comodità chiameremo della Passione, sulla parete destra si ammira un frammento policromo raffigurante una massiccia figura di maestro nell'atto di parlare, più con le mani che con la bocca, ad un rispettoso ed attento gruppo di discepoli di varie età, altri ci scorgono un gruppo di musici.
La storia della Passione
Nell'atrio, vicino alla grande sala da pranzo, su un fregio che adorna la parte alta di tre pareti si ammira lo svolgersi continuo delle stazioni del Calvario, alcune di una accentuata efficacia realistica. Iniziano con la lavanda dei piedi e seguitano con l'orazione nell'orto con la cattura di Cristo, Cristo di fronte a Pilato, Flagellazione, verso il Calvario, Crocifissione, Pietà, deposizione nel sepolcro, Resurrezione di Cristo, discesa al Limbo. In alcune di queste affollate e drammatiche scene sono chiari i riferimenti alle contemporanee incisioni dei Tedeschi e dei Fiamminghi. Per tutte si osservi la Deposizione con un Cristo di evidente rigidità legnosa. Il quarto lato della parete, sopra la finestra, è ugualmente affrescato ma in epoca posteriore e di minor pregio.
Salotto di Lucrezia
Tutta la volta e le pareti sono affrescate. Oltre ai già nominati Girolamo Genga e Amico Aspertini si affaccia, ma con poca convinzione, anche quello di Giovanni Santi, Padre di Raffaello, sicuramente attivo in quell'epoca in Gradara. In una lunetta è raffigurato il Giudizio di Paride, Venere con la mela che suscita contrarietà nelle altre due escluse, ed il Concilio degli Dei. Nell'altra lunetta è decorata la fontana d'amore e sulla volta i Pianeti. Sulle pareti campeggiano 4 figure allegoriche fra cui quella della Fortuna, scivolante elegantemente in un mare appena mosso, nuda, perfetta, con la gamba sinistra salda come una colonna su un globo galleggiante per metà, e la destra mollemente alzata che tiene in equilibrio il giovane corpo. Con la mano sinistra afferra un'asta alla quale è attaccata una triangolare bianca vela gonfiata dal vento che incalza treccine e capelli. La mano destra tiene una svolazzante corda agganciata alla cocca della vela. Si dice che l'autore vi abbia voluto raffigurare Lucrezia Borgia.